domenica 30 novembre 2008

LA SOLITA MALINDI DEI LUOGHI COMUNI NEL LIBRO DI SEVERGNINI

Severgnini e Malindi, un'occasione persa. Il giornalista scrittore cremasco ha da poco dato alle stampe il libro “Italians, il giro del mondo in 80 pizze”, in cui raccoglie dieci anni della sua esperienza di viaggiatore nelle comunità italiane di tutto il mondo.
“Una scommessa”, la definì ai tempi l'editorialista del Corriere della Sera. A giudicare dal successo del forum in internet si può dire che la scommessa sia stata vinta, non c'è dubbio. La sua maniera di affrontare gli argomenti senza la presunzione del tuttologo e di approfondire le questioni sempre “in punta di penna”, ne hanno fatto uno dei personaggi della rete: adorato, criticato, scopiazzato e dileggiato, ma sempre e comunque cliccatissimo.
Ma c'è anche una scommessa non vinta, quella di non aver voluto approfondire una delle poche comunità italiane non facilmente relegabili in un clichet e che non meriterebbero di essere limitate a qualche luogo comune, peraltro trito e ritrito. Sì, perchè Severgnini avrà passato mesi e mesi a New York, Londra, Los Angeles, Parigi, Berlino, Pechino (sommando le tante visite negli anni di onorata carriera) ma a Malindi è stato soltanto un giorno e qualche ora.
Il capitoletto che dedica alla cittadina e ai suoi residenti italiani, scritto di getto dopo quella visita, nel libro non è stato cambiato di una virgola, mentre la comunità di connazionali è in continua evoluzione e proprio perché è così eterogenea, atipica e difficile da delineare (anche per un gran viaggiatore e conoscitore dell'essere umano, del mondo e delle sue lusinghe come Severgnini), avrebbe meritato un'indagine più profonda, o piuttosto il silenzio. Invece no, anche per il giornalista Severgnini (che poi con un “copia-incolla” da tastiera in quest'ultimo volume si trasforma in scrittore) Malindi è ancora quella degli anni Ottanta e secondo lui gli “scappati” sono in maggioranza rispetto a chi può tornare in Italia in ogni momento, gli italiani trafficoni sono molti più degli imprenditori e operatori seri, che magari hanno lasciato l'Italia proprio perché non riconoscevano più quel Paese che hanno tanto amato. Della Malindi che si appresta a presentare il primo progetto pilota nel mondo in cui l'industria turistica si allea con l'Unicef e le cooperazioni internazionali per combattere la pedofilia (che è soprattutto un problema di radicate e abominevoli abitudini locali), Severgnini non è al corrente, così come ritiene che l'albergatore serio che lo ospitò sia l'unico nei paraggi e che chi gli offrì la cena abbia selezionato a fatica le persone con cui chiacchierare nel suo ristorante. Questo luogo, a differenza di altri molto più facili da leggere, è un vero “campione” di una certa Italia, che probabilmente non interessa a Severgnini e nemmeno a molti suoi lettori e agli inserzionisti del giornale per cui scrive. Qui non abbiamo studenti dell'Erasmus e non ci sono ricercatori fuggiti dalle università della Penisola, non ci sono nipoti di emigranti celebri o arrotini diventati miliardari, non c'è “l'italian dream”. Questa è una colonia per modo di dire, duemila persone che possono diventare ottantamila durante l'alta stagione. Eppure c'è gente che ha abbracciato questo luogo, la Natura, la gente e la filosofia come poche altre fedi al mondo. Ama l'Africa e la difenderebbe a spada tratta, la ama con tutti i suoi difetti, proprio come fa Severgnini con l'Italia e gli italiani. Sorprende che nel capitoletto su Malindi di “Italians”, manchi completamente questa indulgenza, soprattutto dopo aver visto così poco in così poco tempo. Forse perchè siamo più “Africans” che “Italians”? Forse perchè quella sera, a cena, non ha mangiato la pizza ma le linguine ai frutti di mare?
Sarebbe stato bello leggere in un libro (che non ha l'obbligo di schizzare sangue per far vendere più copie o di inseguire la notizia a tutti i costi) anche che Malindi è il luogo dove gli italiani hanno aperto più orfanotrofi per chilometro quadrato, che il turismo e i residenti danno lavoro a 60 mila persone e fanno mangiare le loro famiglie tutto l'anno, ovvero all'incirca 300 mila kenioti, che nel 2008 ci sono state donazioni “porta a porta” per oltre un milione di euro, altro che Telethon. Tutte cose che scrivono ultimamente spesso anche i quotidiani locali, che hanno capito che la Malindi italiana è cambiata.. Invece no, ecco puntare il dito con i depravati che vanno con le ragazzine (saranno il 5% dei turisti che passano di qui? Forse è addirittura una percentuale generosa) o quelli che sono sfuggiti alla giustizia italiana (qui secondo me, non si raggiunge l'uno per cento). Eppure in due paginette di un libro sugli italiani nel mondo, Severgnini ne spende una e mezza a parlare del turismo sessuale e di altre bieche abitudini dell'italiano a Malindi. Gli altri, tutti gli altri, tutti noi...siamo in minoranza. Forse perché lavoriamo e usciamo poco la sera, forse perchè non siamo turisti e in spiaggia ci andiamo solo la domenica, forse perché ci siamo sposati e abbiamo figli e conduciamo una vita così normale che nessuno se ne può accorgere, passando di qua solo un giorno e trascorrendo la serata allo Stardust e al Casino. Che peccato. Qualcuno diceva che parleranno i fatti, e che “le chiacchiere stanno a zero”. E noi cercheremo di farli parlare, con i nostri progetti, con l'associazione, con le iniziative di solidarietà vere, quelle che non amano farsi pubblicità. Magari non finiranno sui giornali come la prossima rapina o in un libro come il prossimo passaggio di un inviato ben imbeccato da qualcuno a cui fa comodo che si parli di questo posto in un certo modo, ma saranno la nostra forza.
Oltretutto dell'ex corrispondente dell'Economist, dell'autore di numerosi best-sellers, ci si poteva fidare, perché siamo certi che nessuno l'ha imbeccato e che non avrebbe avuto alcun interesse a raccontare la Malindi che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi noi italiani. Invece, tra tanti reportage interessanti, tanti sguardi imparziali, tante esperienze ben raccontate, ecco Malindi, la grande occasione persa da Beppe Severgnini.

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